Assegno di mantenimento

 

Il tema del riconoscimento dell’assegno di separazione continua ad essere oggi un tema assai discusso in giurisprudenza. Recentemente, gli Ermellini si sono espressi in maniera più rigorosa sul diritto della donna a percepire il mantenimento. Con l’ordinanza n. 20866 del 21 luglio 2021, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una madre che esercitava la professione di dentista (Paola), la quale – dopo la nascita della figlia – aveva cessato di esercitare la sua attività professionale, per accudire la bambina. Dopo la separazione, aveva ottenuto un mantenimento di 300 euro mensili, a seguito di tale decisione, Paola ha chiesto l’aumento dell’assegno, ma senza successo. La richiesta è stata respinta, sul presupposto della mancata riattivazione della sua attività professionale. L’orientamento dei Giudici di legittimità va verso tale interpretazione: il riconoscimento dell’assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri, ai sensi dell’art, 156 c.c., trattandosi dell’espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, vigente tra i coniugi, anche a seguito della separazione, non può applicarsi quando il coniuge richiedente sia in grado – nel rispetto del principio dell’ordinaria diligenza – di procurarsi da solo un reddito da lavoro.

Sul versante della prova, resta a carico del coniuge richiedente l’assegno, ove risulti accertata la sua capacità di lavorare, l’onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato per mettere a frutto le proprie attitudini professionali.

Il tema è complesso e, ad avviso di che scrive, non tiene conto delle attuali difficoltà ad introdursi nel mondo del lavoro, specialmente dopo una sospensione dovuta all’esercizio del ruolo materno, in un Paese dove lo Stato Sociale non sostiene in alcun modo le madri di figli minori.

Spesso sento dire “quello che guadagno lo devo dare alla baby sitter, allora mia figlia la cresco io”.

Avv. Simona Napolitani

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