Divorzio ed assegno

Oggi, più che mai, i criteri di determinazione dell’assegno di divorzio sono discontinui e subiscono diverse interpretazioni e differenti modalità di applicazione. È senz’altro vero che il diritto di famiglia viene definito “diritto vivente” proprio per significare la mobilità delle fattispecie concrete, che, ovviamente, variano da caso a caso; ciò comporta, di conseguenza, la duttilità dell’applicazione della norma al caso concreto. Ma è anche vero che occorrerebbe avere dei parametri più certi ai quali le persone possano riferirsi.

Di recente, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che va disposto l’assegno divorzile per l’ex moglie che per vent’anni si è impegnata su diversi campi tutti importanti ed impegnativi: figlio, lavoro e casa. Anche se la Giurisprudenza ha eliminato il riferimento al criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, subentrano altri criteri utili per la eventuale determinazione dell’assegno.In particolare, sul se e sul quantum del contributo pesa la durata del vincolo matrimoniale e l’apporto fornito dalla donna al ménage di coppia.

Con ordinanza n.24042/21, la Suprema Corte ha considerato dovuto l’assegno mensile a carico del marito, con un reddito lordo annuo di circa 120.000,00 euro, e un cospicuo patrimonio immobiliare. La donna ha un reddito netto annuo sotto i 30.000,00 euro, possiede due abitazioni: una per cui paga il mutuo ed una piccola casa di vacanze.

Le Sezioni Unite hanno stabilito che l’assegno ha una funzione assistenziale, oltre che perequativa (rispetto ai redditi delle parti) e compensativa (per il lavoro che la donna ha svolto per la cura della casa e per il ménage familiare).

Oggi sono dunque due gli elementi necessari alla valutazione da compiere per decidere se sussiste o meno il diritto all’assegno di divorzio: da una parte la possibilità di condurre una vita autonoma e dignitosa, dall’altra l’apporto fornito alla conduzione della vita di coppia. Ovviamente da non dimenticare (perché essenziali): la durata e lo svolgimento del rapporto, al di là del confronto fra le situazioni reddituali e patrimoniali delle parti.

Insomma, tanti diversi criteri che vengono applicati secondo le caratteristiche del caso concreto e secondo l’interpretazione del magistrato. Si potrebbe ovviare con la presenza di uno Stato sociale che consenta alle donne una vera e sostanziale autonomia, liberandola dagli impegni, relativi al ménage familiare, ed un mondo del lavoro che conceda l’accesso paritario a donne e uomini, con uguale retribuzione. Questo porterebbe alla vera autonomia.

Avv. Simona Napolitani

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