Adozioni difficili

Un giro di vite sulle adozioni, nell’intento di garantire al minore un sano percorso di crescita psicofisica, senza allontanarlo dal contesto famigliare disagiato.

La legge sulle adozioni e la sua successiva costante applicazione nei Tribunali hanno predisposto interventi tesi a rimuovere situazioni di difficoltà, inserendo il nucleo in un programma di aiuto e recupero della responsabilità genitoriale, laddove sospesa.
Il fine di questa scelta è quello di limitare la dichiarazione di adottabilità, cosicchè il percorso adottivo risulti solo e molto residuale.
In linea con tale intendimento, secondo una recente Cassazione (7559/2018), i Servizi Sociali non possono limitarsi a segnalare situazioni a rischio, ma devono tentare di rimuoverle, ricorrendo a “misure di sostegno”.
L’abbandono del minore sarà quindi configurabile solo quando i genitori si rifiutino ostinatamente di collaborare. Insomma, il legame familiare – in questa prospettiva – sembra essere l’unica cura per salvare il minore da gravi pregiudizi ed assicurargli una stabilità affettiva.
Prima di acclarare l’adottabilità, si dovrà escludere ogni possibilità che il padre e la madre recuperino la responsabilità, grazie a un “progetto di assunzione diretta della cura” dei figli, anche se supportata da parenti, terzi e servizi territoriali.
Si può essere d’accordo?
Personalmente, nutro molti dubbi:

  • E’ vero senz’altro che il legame familiare costituisce una condizione fondamentale ed imprescindibile per i bambini e per consentire loro una crescita sana e strutturata.
  • E’ altrettanto vero, però, che occorre verificare, caso per caso, le condizioni di ciascun nucleo familiare e le possibilità che detto nucleo offrono ai minori. Non si può, io credo, parlare per assiomi e ritenere sempre e comunque validi certi principi. A volte, la lacerazione ed il trauma che un bimbo subisce nel dover lasciare la propria famiglia, vengono contemperati dall’accoglienza in un ambiente familiare più idoneo.
    Poi da una comparazione tra la prosecuzione della vita in una famiglia priva di strumenti che mette il minore a rischio e lo sviluppo psico fisico del minore in un nucleo con strumenti genitoriali e materiali, probabilmente prevale la seconda ipotesi, nel consentire ai minori una maggiore stabilità emotiva e psicologica. Ma una cosa è certa, occorre verificare caso per caso.
  • Infine, una triste considerazione. Si continua sempre a parlare – nel diritto di famiglia – di Servizi Sociali. Purtroppo, in Italia tale Istituzione è spesso priva di contenuto: — i Servizi sono sopraffatti dagli incarichi, spesso mancano le forze per poter avviare un qualsiasi progetto. Il mondo delle Politiche Sociali non dà alcuna garanzia di efficienza e di concretezza, rispetto al sostegno di cui le famiglie hanno spesso bisogno; – non c’è specializzazione degli Assistenti Sociali; – manca una formazione permanente, che dia loro le competenze per interagire con il disagio e con il recupero della genitorialità; – mancano strumenti di supporto per il loro lavoro.
    Quindi, mi sembra un contro senso parlare di “misure di sostegno” o di “progetti di recupero”, senza tener conto delle risorse che sono in campo e che il nostro Paese offre al riguardo.
    Non è possibile, quindi, ipotizzare qualcosa di positivo rispetto alla crescita dei minori a rischio, se prima non si mette mano, seriamente, ad una rivisitazione di tutto il sistema che ruota attorno alle famiglie in difficoltà.

Simona Napolitani

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