Il lavoro della donna in famiglia

 

 

Abbiamo già scritto della recente sentenza delle Sezioni Unite che si sono pronunciate in merito all’assegno divorzile ed alla sua regolamentazione, relativa ai principi di autonomia economica e di autoresponsabilità.

Nel leggere questa sentenza, sono rimasta colpita da importanti osservazioni e considerazioni dei Giudici di legittimità rispetto alla posizione della donna/moglie e della valutazione del suo lavoro all’interno della famiglia.

Mi sembra importante condividerle con Voi.

Ciò su cui insistono i Giudici della Suprema Corte riguarda la modalità del regime coniugale, le scelte che marito e moglie hanno adottato in riferimento ai rispettivi ruoli all’interno della famiglia; in particolare si legge che:

La libertà di scelta e l’autoresponsabilità, che della libertà è una delle principali manifestazioni, costituiscono il fondamento costituzionale dell’unione matrimoniale, una delle formazioni sociali che la Costituzione riconosce come modello relazionale-familiare preesistente e tipizzato, Il canone dell’uguaglianza, posto a base dell’art. 29 Cost.., può essere  attuato e reso effettivo soltanto all’interno di una relazione governata da scelte che sono frutto di determinazioni assunte liberamente dai coniugi in particolare in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita familiare. L’uguaglianza si coniuga indissolubilmente con l’autodeterminazione e determina la peculiarità della relazione coniugale così come declinata nell’art. 143 cod. civ.., norma che ne costituisce la perfetta declinazione…. .

…La conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri ed obblighi che imprimono alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo, anche irreversibile…

….Alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non consegue necessariamente una correlata duttilità e flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economico patrimoniale dell’ex coniuge al momento della cessazione dell’unione matrimoniale. Il legislatore è stato largamente consapevole del forte condizionamento che il modello di relazione matrimoniale prescelto dai coniugi può determinare sulla loro condizione economico-patrimoniale successiva allo scioglimento. Per questa ragione ha imposto al giudice di “tenere conto” di una serie d’indicatori che sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e di auto responsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita. Queste declinazioni del modello costituzionale dell’unione coniugale, incentra sulla pari dignità dei ruoli che i coniugi hanno svolto nella relazione matrimoniale, non possono entrare in via esclusivamente eventuale nella valutazione che il giudice deve effettuare quando dispone sull’assegno  di divorzio. La relazione coniugale è orientata fin dall’inizio dai principi di libertà ed autoresponsabilità ed il legislatore  ha inteso valorizzare la funzione conformativa di questi principi nel regime giuridico dell’unione matrimoniale anche in relazione agli effetti che  possono conseguire dopo lo scioglimento del vincolo, senza incidere sulla efficacia solutoria di tale determinazione, volta al riacquisto dello stato libero ma anche senza azzerare l’esperienza della relazione coniugale alla quale si dà forte rilevanza nella  norma che prefigura gli effetti di natura economica che conseguono il divorzio….

…Questo richiamo diretto al modello costituzionale del matrimonio, fondato sui principi di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione ed autoresponsabilità sono stati tenuti in primaria considerazione dal legislatore in sede di definizione degli effetti economico patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo…

La situazione economico-patrimoniale del richiedente costituisce il fondamento della valutazione di adeguatezza che, tuttavia, non va assunta come una premessa meramente fenomenica ed oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotta,  dovendo accertarsi se tali cause siano riconducibili agli indicatori delle caratteristiche della unione matrimoniale così come descritti nella  prima parte dell’art. 5 c. 6, i quali, infine, assumono rilievo direttamente proporzionale alla durata del matrimonio. Solo mediante una puntuale ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente che non trascuri l’incidenza della relazione matrimoniale sulla condizione attuale, la valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fondata sul principio di solidarietà che, come illustrato, poggia sul cardine costituzionale fondato della pari dignità dei coniugi  (artt. 2,3. 29 Cost.).

E’ bene conoscere ed avere consapevolezza di queste affermazioni, riconducibili a principi costituzionali, calati effettivamente nel quotidiano delle famiglie: un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare produce effetti e conseguenze nel momento in cui il vincolo matrimoniale si scioglie.

Nessuno vuole garantire rendite parassitarie, ma se una donna ha – per anni – lavorato in famiglia, portando avanti un lavoro di cura della casa, di crescita dei figli, facendosi carico di tutta una serie di attività impegnative ed articolare, tutte rivolte alla tenuta del nucleo familiare, deve essere tutelata in sede di divorzio, tenendo conto dei principi sanciti dalla nostra Costituzione e dal Codice Civile.

Certo, non è vero tant’è che di fatto non esiste la possibilità di mantenere “lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” perché la separazione ed il divorzio sicuramente impoveriscono e non consentono una vita facile ed agiata, ma questo è un altro discorso.

Simona Napolitani

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